Brutta bestia il progresso: se da un lato ci lusinga con le sue promesse (non di rado menzognere) di benessere, dall'altro cannibalizza e divora nobili e storici mestieri dell'antichità.
Il Salento è una delle poche regioni d'Italia in cui questi storici mestieri si ostinano a non voler chinare il capo al progresso, ma lottano tenacemente per sopravvivere.
Ne citeremo alcuni col loro nome dialettale.
Lu stagninu, che nella sua officina produceva pentole, tegami e altri oggetti indispensabili in casa, ma anche piccole riparazioni che richiedevano saldature. Questi oggetti oggi rivestono perlopiù funzione ornamentale e di souvenir per i turisti.
Lu cantastorie, così anacronistico nell'epoca di internet e dell'informazione pervasiva; ma che un tempo - girando per piazze e mercati - assolveva alla funzione di diffondere le notizie di cronaca locale tra la cittadinanza.
Lu ombrellaru e lu scarparu, i cui nomi da soli descrivono le rispettive professioni. Oggi scarpe e ombrelli (soprattutto) sono diventati quasi oggetti usa e getta. Un tempo, invece, dovevano durare il più a lungo possibile ed era dunque prezioso chi sapesse ripararli quando si rompevano.
Di pari passo procedevano i mestieri de Lu vetturinu e lu quarnamintaru. il primo guidava vetture destinate al trasporto pubblico, trainate da cavalli; il secondo, lavorando il cuoio, si curava di realizzare cavezze, paraocchi e tutto quanto era necessario per la bordatura dei cavalli.
Altro mestiere dal nome singolare con cui chiudiamo la nostra piccola carrellata era quello de lu cazzafricciu. Uno dei più monotoni e faticosi tra gli antichi mestieri, quello dello spaccapietre. Con la pioggia incessante o il sole cocente lo ritrovavi lì, col suo martello, a spaccare grosse pietre per sistemare strade e viottoli vari.