Piazza Sant'Oronzo a Lecce è una delle piazze più belle d'Italia, simbolo della sua ricchezza architettonica: qui si trova in tutta la sua secolare bellezza l'anfiteatro romano risalente al periodo a cavallo tra l'età augustea e quella traianea, sul quale si affaccia il "Sedile di Lecce", edificio cinquecentesco con una splendida loggia in cima.
Ma soprattutto a svettare sulla città, con la sua mano benedicente, è la statua bronzea di Sant'Oronzo posta su una colonna alta quasi 30 metri. Un monumento questo con una storia alquanto particolare, fatta di sacro, di profano e di vere e proprie dispute che, più o meno facete, si trascinano ancora oggi.
La peste e il miracolo
Tutto inizia nel 1657 quando una terribile pestilenza colpisce l'Europa intera, senza risparmiare il Regno di Napoli.
Una tragedia questa che causò la morte di molte persone, ma che stranamente risparmiò la terra d'Otranto, che patì in misura minore tanto che a Lecce si gridò al miracolo, attribuendo tale benedizione a Sant'Oronzo.
Si pensa addirittura fosse stato il vescovo leccese a mettere in giro la voce che sia stato Sant'Oronzo a salvare la terra d'Otranto, per rinverdire il suo culto un po’ dimenticato, visto che a quel tempo la patrona di Lecce era Sant'Irene.
La "disfida" della colonna
Fu così dunque che i leccesi benedirono Sant'Oronzo, acclamandolo come loro patrono.
La voce del miracolo si diffuse così nei paraggi e, a Brindisi, il sindaco decise di realizzare, insieme ad altri paesi limitrofi, una colonna votiva in onore del santo utilizzando parti di una antichissima colonna in marmo cipollino africano, presente al termine della Via Appia e che troneggiava sul porto di Brindisi da ben tredici secoli, poi quasi distrutta da un terremoto.
Ed è a questo punto che nasce il dissidio tra le cittadinanze di Lecce e Brindisi, in quanto i brindisini non volevano privarsi di ciò che consideravano una loro proprietà.
La questione fu risolta dal viceré di Napoli, il quale ordinò di trasferire la colonna votiva in divenire alla città di Lecce; e ciò fu fatto di notte, quando il sonno celava ai battaglieri brindisini l'ardito "piano di fuga" ancora oggi contestato.